11 commenti

Cesare deve morire: L’arte come placebo secondo i Taviani

Roma. Carcere di Rebibbia. Sezione di massima sicurezza. 6 mesi a diretto contatto con i detenuti per i fratelli Taviani, due monumenti viventi del cinema italiano, che, oltre all’Orso d’oro a Berlino, ci regalano un gioiello di umanità, una qualità più anacronistica che mai. Regna infatti nei media un giustizialismo becero a causa del quale molti sembrano fremere di gioia all’idea che altri uomini vengano rinchiusi per sempre e buttata via la chiave. Un’altra qualità indubbiamente rara è l’eleganza della regia: finalmente l’occhio si può riposare e godere di uno stile coerente e senza fronzoli superflui non indispensabili al piacere della fruizione da parte dello spettatore. Tutto questo denota indubbio amore per il racconto di una storia per immagini, detto in altra maniera, amore per il cinema.

La storia la offre Shakespeare, l’autore delle storie di tradimenti e uomini d’onore per eccellenza, dunque quale posto migliore e al tempo dissonante se non il carcere per rappresentare il Giulio Cesare? Seguiamo senza alcuna noia, al massimo un po’ di angoscia dato che Rebibbia sembra un posto uscito da marte, le vicende della rappresentazione della piéce che si fondono all’unisono con le vicende di Cesare, Bruto e Cassio: dagli intensi provini, alle prove improvvisate in biblioteca e nei corridoi fino allo spettacolo finale, che viene proposto da un ottimo montaggio anche all’inizio della pellicola, dandole circolarità. Nonostante dunque il film sia in parte metateatrale e metacinematografico, ovvero svela da subito il suo essere finzione, è davvero difficile non pensare che il detenuto romano che interpreta Cesare, anche grazie una discreta somiglianza fisica, non sia davvero Giulio Cesare in quei momenti, e lo stesso vale per il bravissimo Bruto e per gli altri. Tutti sembrano avere molto in comune con i loro rispettivi personaggi e li interpretano, grazie anche all’aiuto del direttore artistico, con una bravura e una naturalezza uniche: ognuno con il suo dialetto e il proprio pesante bagaglio di esperienze sulle spalle.

La fotografia è semplicemente bellissima, in particolare nei toni netti del bianco e nero, che precedono lo spettacolo, il quale invece sarà caratterizzato da intensissimi rossi, per sottolineare ancora di più cosa ha significato per i detenuti questa rappresentazione: prima un’incolore e indistinta vita tra le sbarre in cui poco o niente faceva la differenza, dopo, da una parte la bellezza e la soddisfazione dello spettacolo, dall’altra un’amara ulteriore presa di consapevolezza della propria ignobile condizione umana, coscienza acquisita grazie all’arte.

Cassio/Cosimo Rega: “Da quando ho conosciuto l’arte questa cella è diventata una prigione”

Tra i detenuti infatti c’è chi deve scontare una quindicina o ventina d’anni per spaccio e simili, ma c’è anche chi, per omicidio, deve scontare l’ergastolo a vita. I Taviani cercano di far ricordare all’Italia e all’Europa che, anche se a noi sembra silenzioso e inesistente, esiste tutto un mondo dietro quelle altissime mura. E non si tratta di “spazzatura” come comunemente viene dipinto dai media qualunque signor nessuno che compia un reato di qualsiasi tipo, al contrario si tratta di esseri umani del tutto simili a noi, nonostante per comodità non ci piaccia pensare il contrario per poterci sentire superiori. Cesare deve continuare a vivere e a sanguinare e morire, ma soprattutto deve farlo in carcere, dove è più necessario che mai, nonostante l’arte possa essere più un placebo che una soluzione.

La provocazione: A voi non morde un po’ la coscienza che, anche se hanno provocato danni di varie entità su altri, tutte quelle persone-esseri umani stiano chiusi per sempre in tre metri quadri, privati completamente della loro esistenza?

Esclusi gravi casi patologici (che andrebbero curati e non incarcerati) chi ha ucciso o spacciato fuori dalla legge, dovrebbe essere meno sadico e disumano di chi somministra o aiuta a somministrare pene come l’ergastolo a migliaia di persone privandole di tutto, però dentro la “legge”?


11 commenti su “Cesare deve morire: L’arte come placebo secondo i Taviani

  1. Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

  2. Vorrei tanto che un giusto e puro di cuore mi insegnasse la giustizia e ridefinisse la legge.

    • Be’, da ciò che deduco da quello che scrivi, penso che saresti capacissima di farlo anche te da sola 😉
      Sono verità che in fondo sappiamo tutti anche se molti cercano di cancellarle con la “legge”, come se fosse l’unica possibile e l’unica giusta. In questi giorni pubblicherò un articolo su un film meraviglioso che parla proprio di questi argomenti chiamato “La grande illusione”. Spero che lo leggerai e che magari riuscirai a vederlo perché secondo me è uno dei capisaldi dell’umanità rappresentata al cinema 🙂

      Un caro saluto,
      Emerald

  3. No cara Emerald, non mi rimorde la coscienza che delle persone che hanno commesso delitti così gravi rimangano in prigione per molti anni o per la vita intera. Penso che abbiano il diritto di essere trattati come esseri umani e non come topi stipati in una stiva (come sta succedendo in Italia), che in carcere meritino di avere nuove possibilità e occasioni, magari che dopo vent’anni (per gli ergastolani) si possano studiare attività di uscita giornaliera ma deve essere chiaro che ci deve essere una giustizia umana che funziona: quella divina, se c’è, si vedrà. Penso che le ragioni delle vittime siano prioritarie anche se noi tendiamo a scordarcene: tanto sono morti no? (e quanto dolore per quelli che sono rimasti vivi?) Oppure: è il destino o il Karma. Allora se è il destino è destino anche chi ha commesso quei delitti percorra una determinata strada che è quella della elaborazione del male fatto e della presa d’atto che i delitti devono essere pagati sempre.

    • Essì, soprattutto alle vittime morte interessa tantissimo che i carnefici soffrano, è risaputo. Se si priva a sua volta della vita qualcuno che ha danneggiato qualcun altro non è giustizia, è solo legge del contrappasso o del taglione. Non puoi chiamarla vita quella nelle nostre carceri: è solamente esistenza. E nemmeno gli animali la meritano, a prescindere da quasiasi cosa abbiano fatto (tié, posso fare un’eccezione per i mostri a livello delle s.s. ma quei casi sono più da curare che da bastonare). La repressione è una cosa più sadica che utile: al massimo ha utilità deterrente, tipo con i bambini “se fai questo, ti prendi le tòtò”. Poi, vabbè, inviterei chiunque a farsi un paio d’anni in quell’acquario chiamato rebibbia e poi vediamo se si riesce a cambiare idea e a liberarsi da un giustizialismo punitivo che serve più che altro a sfogare le proprie frustrazioni, mascherato da sete di giustizia…

  4. Forse non interessa alle vittime, a cui in ogni caso è stato precluso di avere una vita, ma sicuramente interessa ai genitori, alle mogli e ai figli.Come interessa a chi ha la vita rovinata dalla droga etc.Chi si fa un paio d’anni a Rebibbia di solito è perchè se lo merita – chiedo scusa a chi è stato incarcerato innocente- (salvo dei poveri disgraziati di immigrati che riescono a farsi anche dieci anni per aver rubato una mela). Siccome vedo che parli spesso dello sfogo delle frustrazioni degli altri quando non sono d’accordo con te, non è che per caso la frastrata sei tu? Ti sei mai chiesta cosa diventerebbero le città con le tue idee? La giungla è troppo poco….Quante persone sono uscite ed hanno ucciso di nuovo o commesso altri delitti? Possibile che solo per chi cerca di comportarsi bene e di rispettare gli altri non ci siano mai diritti?

    • Chiaro che ci sono diritti, ma se uno si sente bene solamente se quelli soffrono allora vuol dire che c’è qualcosa che non va.Tutti questi concetti di punizione meritata hanno alla base una visione della vita religiosa e peccaminosa dell’esistenza. E comunque bisogna saper guardare alla cause delle cose, è inutile fare i giustizieri della santa inquisizione se tanto non si capiscono i meccanismi delle cose e si reprime e basta. Sarebbe molto più logico isolare in altra maniera le persone che danneggiano la società, non dico che devono andare a spasso a fare danni come se niente fosse. Comunque in questa società malata siamo tutti un po’ frustrati in un modo o nell’altro, quindi, tranquillo non lo metto in dubbio e non mi offendo! Altrimenti non starei qui a scrivere, ma starei per prati o in giro per il mondo a godermi la vita… Dico solamente che non mi sfogo godendo delle sofferenze altrui, la trovo una cosa triste

  5. nemmeno io godo della sofferenza altrui ma ti faccio notare che molti di loro non hanno pensato alla sofferenza degli altri mentre deliquevano. Hai letto l’intervista dell’attore che ha interpretato Cesare?Lui, come molti altri, ha scelto di fare quello che ha fatto ed ha capito il male e gli errori fatti solo in prigione.

  6. Non è vero che il male insegna, il male fa male e basta. Questa cacchiata la si dice dai tempi della Grecia e di Eschilo. Sarà un caso su 500.000… Comunque pietà, finiamola qui. Hai ragione: la punizione è sempre un’ottima e bella cosa. E fa tanto bene. Tipo l’olio di ricino.

Lascia un commento