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Apologia per Zardoz di John Boorman: Non solo kitsch!

Sean Connery e Charlotte Rampling in Zardoz di John Boorman

Futuro remoto e ignoto. Zed è uno spietato “sterminatore”. Gli sterminatori sono una casta di killer che uccidono in nome del dio Zardoz. Vivono all’insegna della castità e uccidono per il bene della terra, così si dice, per depurarla dagli uomini, che, in sovrannumero per la loro disdicevole tendenza alla riproduzione, tendono a divorare tutte le risorse della terra. Il comandamento di Zardoz è “The gun is good, the penis is evil”: la sostituzione fallica operata da questi violenti uomini è di semplice comprensione. Un giorno Zed scopre che in realtà il dio Zardoz non esiste, è solamente un uomo che inganna gli sciocchi sterminatori (proprio come accade nel mago di oz, da cui lo strano titolo deriva: the wizard of oz).

Il gioco di parole nel titolo

Il tutto con lo scopo di far loro riscuotere il grano necessario per la sopravvivenza di ben altra superiore casta, quella degli Immortali.  Gli Immortali, a differenza degli uomini, che muoiono come mosche, vivono in una bolla impenetrabile che li protegge e li preserva dalla morte una sorta di grande mente-calcolatore comune. Zed riesce a irrompere in questa zona protetta e scopre un mondo che ai nostri occhi sembrerà del tutto simile a un ibrido tra un gruppo di autocoscienza femminista e una comune. Gli immortali non praticano più l’obsoleta consuetudine della riproduzione sessuale: dato che non muoiono più la ritengono ormai cosa superflua e brutale. Vige tra di loro una sorta di confessione obbligatoria dei pensieri, che devono rigorosamente propositivi e positivi, tipico del pensiero flower-power anni settanta. In seguito a questa dittatura mentale, e anche alla noia di una vita immortale, capita che alcuni di loro cadano nella apatia completa, mentre altri che semplicemente disobbediscono sono fatti invecchiare (ma non possono morire!) proporzionalmente alla gravità dei loro “peccati”. Nonostante sia considerato come un film con difetti notevoli, Zardoz è un film da non perdere e i difetti sono molto trascurabili. Ho sempre più il dubbio che essi vengano ricalcati per questo motivo: un film fantastico poco tecnologico rispetto a quelli odierni ma che dice tante verità in più è poco rassicurante. Vi consiglio di continuare la lettura ascoltando la magnifica colonna sonora, una magnifica sinfonia di Beethoven per capire meglio lo spirito del film.

Boorman ci suggerisce come il concetto di immortalità provoca perdita di sessualità e naturalezza, in particolare nella donna, ma gli effetti negativi si riscontrano non solo su di lei. In poche parole immortalità e natura cozzano terribilmente: sono l’uno l’opposto dell’altra, un concetto che mi sembra tutt’altro che obsoleto. Poco importa che nella vita reale si parli di immortalità dell’anima e non dei corpi: l’allontanamento dalla natura avviene lo stesso, anzi, in maniera ancora più radicata attraverso il dualismo corpo-anima o corpo-mente. In merito a ciò parla da sola la scena in cui l’immortale Marcela vuole mostrare alla classe tramite Zed il meccanismo dell’eccitazione sessuale  dato che gli Immortali hanno perso questa capacità. Essa lo sottopone a immagini pornografiche di qualsiasi tipo ma non ottiene nessun effetto. Non si capacita, anzi va proprio su tutte le furie quando invece è attirato dalla suo normalissimo corpo di donna. Non capisce proprio, è come se avesse perso il collegamento che c’è tra bellezza femminile e possibilità riproduttiva: lo stesso che succede oggi insomma, impero della bellezza narcisistica per sé e in sé. Che immortalità e natura siano l’opposto ce lo dimostra anche il finale in cui l’unione di Zed e di Marcela, e quindi la nascita di un figlio, portano a una consapevole accettazione della morte quale evento naturale per l’uomo. Un’abile sintesi finale esemplifica tutto ciò: i due invecchiano, si dissolvono pian piano in scheletri , al contrario del figlio che prospera.

Una lancia a favore dell’aspetto formale della pellicola, volutamente kitsch. Non potendo contare su grandi somme perché il film era low-budget (calcolate che Sean Connery andava sul set con la propria auto pur di mantere bassi i costi) si è fatto di una carenza un punto di forza. Si punta su una scenografia ridondante, grottesca e ironizzante sulla moda dei tempi di allora, ovvero gli anni settanta. I costumi sono altrettanto spiritosi e ridicoli. Del resto in satira la verosimiglianza non è indispensabile. Lo stesso fa Elio Petri nella Decima Vittima, uno dei pochissimi film fantascientifici italiani, operazione che già di per sé ha dell’azzardo nell’imperante estetica italiana neorealista a tutti i costi.  Anche qui le scenografie di un tempo futuro sono stilizzate e non ipertecnologiche. Addirittura gli alienanti scenari architettonici fascisti dell’eur possono essere utili allo scopo!

8 commenti su “Apologia per Zardoz di John Boorman: Non solo kitsch!

  1. Confesso di non conoscere questo regista, che senza dubbio pare interessante. Non amo particolarmente quel genere di film, quindi non credo che me li procurerò, mi acconterò, quindi, delle tue vivaci recensioni. Hai visto Melancholia? Anche lì un film sull’accettazione della morte, molto bello, almeno secondo me.

  2. Ma in realtà Boorman non è uno di genere, ha esplorato il genere fantasy negli anni ’70 per spiegare una metafora sulla vita in maniera meno didattica, ma ha fatto anche film molto diversi da Zardoz come il film “Un tranquillo week-end di paura”(Deliverance è il titolo originale, che vuol dire “licenza”, non è un film horror!) con John Voight, magari potresti cominciare da quello, così senza impegno… anche perché non credo che sia così distante da Bunuel, sai? Io credo che sia essenziale per capirlo, parlano delle stesse cose. Lo stesso per Polanski, discende direttamente da Bunuel. Melancholia non l’ho visto ancora perché non non mi fido molto dei registi che dicono di fare film solo per se stessi… ma non era un film sulla depressione? Grazie comunque per il complimento vivace 😀 L’ho molto gradito!

  3. Non ho dubbi sulla discendenza da Bunuel di Boorman, così come di Polanski. Polanski mi interessa sempre molto. Ora io mi trovo ad avere un’età in cui leggo, guardo, faccio, scrivo, solo le cose, i libri, i film ecc. che mi interessano, perché temo di non avere neppure più il tempo per portare a compimento questo proposìto. Su Bunuel ho già scritto che vorrei parlarne in una monografia. Non intendo, però, percorrere altri studi per approfondire autori che non conosco e che non mi attirano. Se riuscirò a concludere lo studio su Bunuel mi riterrò molto soddisfatta, ma poiché non si tratta di un autore semplice, il lavoro, tra visione, riflessione, elborazione, scrittura non può essere molto rapido.
    Quanto a Melancholia, può essere considerato anche un film sulla depressione, ma mi sembra un giudizio piuttosto superficiale. E’ un film filosofico, molto ben scritto e interpretato. Potresti leggere la mia recensione:
    http://laulilla.wordpress.com/category/recensioni-film/melancholia/
    Personalmente lo ritengo il film più bello del 2011 e forse anche di alcuni anni precedenti. Poi nel cinema, come in altre cose, conta molto la nostra soggettività, le nostre predilezioni, la nostra formazione culturale, perciò mi appare ovvio che a molte persone possa anche non piacere il modo di raccontare di Lars Von Trier.
    A me per esempio non è piaciuto Faust, ma questo è assolutamente irrilevante nel giudizio che do del film, che è un film potentissimo e a suo modo bello.

    • Ho visto molti suoi film e l’unico che mi sia piaciuto davvero è “Il grande Capo”, commedia meno pretenziosa dei suoi soliti film e molto autoironica. Certo che conta molto la nostra soggettività però credo che Lars ne metta davvero un po’ troppa 😀 come Malick del resto: ci vuole un po’ di autoironia anche nel cinema. Comunque la recensione la leggerò di sicuro… e prima o poi vedrò anche il film. Io comunque credo che magari, forse lo penso perché ho studiato comparatistica, avvicinarsi ad autori appunto vicini a quello che si studia possa aiutare molto, essere anche illuminante a volte… Perché magari chi è venuto dopo esplicita più apertamente quello che che ha detto chi è venuto prima in modo un po’ criptico, non credi? 🙂

  4. Guarda, ti dico come la penso: tra Von Trier e Malik non vedo nulla in comune, se non l’antipatia personale che mi ispirano, l’uno per l’intollerabile gusto esibizionista, che gli fa dire cose vergognose , come è successo a Cannes; l’altro per l’aura di mistero di cui circonda un’attività registica secondo me alquanto discutibile. Antipatia a parte, però, i film cerco di giudicarli per quello che sono, o che trasmettono, o per le riflessioni che suscitano. Qui, per me, davvero Von Trier è un grande regista, oltre che un poeta.
    Quando parlavo di soggettività mi riferivo non ai registi, ma a noi, che vediamo i loro film, giudicandoli in base alle nostre predilezioni, alla nostra formazione culturale ecc. (almeno per me è così); non mi ero posta il problema della straripante soggettività di Von Trier! Quello che dici è vero, ma difficilmente nei suoi film mi disturba.
    Non ho trovato per ora (ho già visto quasi tutti i film di Bunuel e ne ho recensito più della metà), difficoltà interpretative, né messaggi ininterpretabili per eccesso di cripticità. Non pretendo ovviamente di dire una parola definitiva sul suo lavoro, perché penso che, nell’ esercizio critico, ognuno porti un contributo a comprendere, ma l’inesauribilità della creatività di ogni artista (per me Bunuel lo è) comporta l’inesauribilità delle interpretazioni, fra le quali comprendo anche quelle che, attraverso i loro film, ne hanno dato seguaci ed epigoni (Boorman, Polanski, ma anche Von Trier, nei cui film i riferimenti al regista spagnolo sono moltissimi, anche in Melancholia). La lentezza con la quale procedo è dovuta a scrupolo esegetico, ma non a difficoltà. In ogni caso, le difficoltà mi stimolano a pensare!

  5. […] Io direi che lo schema pare proprio quello: ecco la recensione di questo sconosciuto film. […]

  6. Emerald, mi devo segnare per forza anche questo film adesso. Poi, ti dirò la mia opinione, da comunicarsi in eurovisione. Imperdibile Sean Connery col codino e il pelo a vista, perfetto stile anni settanta. In più ora ho l’occasione di visionarlo con lo spirito critico adeguato prendendo la tua recensione come prefazione. Molto della letteratura fantasy ha tutt’ora un filo diretto con quegli anni, perciò è sempre interessane andare a risalir la sorgente.

    • Essì, te lo devi segnare per forza!
      Riguardo il fantastico look di Connery calcola che il film l’ho trovato proprio grazie ad esso, segnalato su Ciak alla rubrica “Weirdo”, quella dei film dal look più strano in assoluto 😀
      Calcola che lui era già famoso e andava sul set con la propria auto per non far aumentare il budget del film…

      Penso che sia un film molto utile per la compresione del funzionamento della nostra società odierna.
      Il finale poi per me è commovente e si ricollega perfettamente alle tue ultime parole del post sul tempo!

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