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Lo Hobbit: la desolazione di Smaug, la recensione

Recensione Lo Hobbit: la desolazione di Smaug di Peter Jackson Il bello di girare una trilogia è che dopo il primo film  non sei più costretto a presentare i personaggi, puoi direttamente entrare nel vivo del pericolo e dell’avventura: questo concetto espresso da Peter Jackson in una recente intervista esprime alla perfezione la struttura e lo spirito de Lo Hobbit: la desolazione di Smaug, seguito di Lo Hobbit: un viaggio inaspettato.

Mentre quest’ultimo, infatti, aveva una discreta – doppia – introduzione, divisa tra compleanno del vecchio Bilbo (Ian Holm) e racconto del viaggio e della conoscenza dei nani, Lo Hobbit: la desolazione di Smaug parte subito in quarta con i nostri eroi tremendamente vicini alla Montagna Solitaria, possono vederla a occhio nudo, ma al tempo stesso ancora un po’ lontani perché ostacolati in molti modi da varie creature del regno, oltre che dalla frequente assenza di Gandalf (Ian McKellen). La simpatia di – quasi tutti – i nani rimane molto alta come sempre, anche se questa volta la faccenda si fa leggermente più seria e meno giocosa rispetto al primo film, soprattutto nella seconda parte, nella quale Martin Freeman, che è oramai una sicurezza nel ruolo di Bilbo da giovane, la fa da padrone. Analogamente a come in Un viaggio inaspettato si rimane estasiati dall’epico momento degli indovinelli di Gollum, Lo Hobbit: la desolazione di Smaug offre sensazioni e brividi di grande suspance all’entrata in scena appunto del grande drago Smaug, la cui vibrante voce è doppiata in originale da Benedict Cumberbatch. Smaug non è un drago qualsiasi, ma una sorta di intelligentissimo e paranoico psicopatico che adora dormire nell’oro e gongolarsi nella sua potenza e ricchezza: un villain in piena regola e perfettamente caratterizzato, oltre che spaventoso. Anche la parentesi di Pontelagolungo sembra convincere con i suoi umani meschini e i canali che ricordano una Venezia d’altri tempi, doge incluso. L’unico elemento che convince meno è la storia d’amore interraziale, un po’ banale e calco di quella tra Aragorn e Arwen ne Il signore degli anelli – La compagnia dell’anello. Nonostante questo piccolo difetto, è innegabile che Lo hobbit: la desolazione di Smaug sia un altro gioiello fantasy regalatoci dal durissimo lavoro di Peter Jackson e di tutta la sua – gigantesca – crew neozelandese degli studi Weta di Wellington: costumi e trucco impeccabili, musiche stupende, concept art e scenografie meravigliose. Non c’è davvero un solo elemento che esca dalla coerenza del mondo diegetico delineato. Consigliatissima è la visione in 3D dato che è nativo, ovvero è già girato in stereoscopia, non convertito. Da provare se possibile anche in proiezione HFR a 48 frames al secondo. Se invece il 3D non fa assolutamente per voi (anche se qui è di alto livello) sarebbe da considerare una visione in lingua originale. Ulteriore consiglio: fomentarsi assolutamente nel frattempo con la saga de Il signore degli anelli, mandato in onda queste domeniche festive da Mediaset, stasera per esempio danno Le due torri. Troverete tanti riferimenti al tempo e alle vicende de Lo hobbit, a cui non avevate fatto probabilmente caso. Come dire: il cinema ai tempi della serialità.

E’ disponibile in dvd il primo episodio della saga: Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato su Amazon

Libro correlato: Lo Hobbit – John R.R. Tolkien

2 commenti su “Lo Hobbit: la desolazione di Smaug, la recensione

  1. Sì, è un film piacevole, ma come “Un viaggio inaspettato” ha due enormi difetti che mi hanno fatto uscire dalla sala insoddisfatto:

    1) Non ha senso dividere un libro del genere in più film, non perché non ci siano un sacco di cose interessanti da mostrare, ma perché la storia si presta molto meno alla serialità. Non è un’epopea, è “un racconto hobbit”! Una storia del genere si presta a un singolo film, magari di tre ore o più, ma non a una trilogia!

    Quando poi alla marmellatona già oltremodo diluita si aggiunge la storiella posticcia di un triangolo amoroso tra Legolas in versione Borghezio, un nano che sembra uscito da una serie TV e un elfo-vacca (“Perquisiscimi! Potrei avere di tutto nei pantaloni!” è qualcosa di imperdonabile), la mattonata diventa ancora più insopportabile.

    2) Si è cercato di dare al film la stessa dimensione epica che aveva funzionato per “Il Signore degli Anelli”, mentre il bello de “Lo Hobbit” è che racconta di draghi e cose eroiche, ma dal punto di vista di un protagonista placido e distinto. E infatti la scena più bella di questo film è la conversazione con Smaug, così come la scena più bella dell’altro era la conversazione con Gollum. In altre parole, sono belle le scene in cui ci si abbandona al piacere di raccontare.

    • Ciao Francesco, innanzitutto benvenuto sul blog! Sto leggendo in questi giorni Lo hobbit in lingua originale, comunque mi sembra di poter già essere d’accordo con te: è un po’ evidente che, come si dice a Roma, “ce stanno a provà” nel far somigliare Lo hobbit al Signore degli anelli, ma nonostante le analogie già esistenti più di tanto non si può fare, hai ragione, è evidente che il gap di epicità è bello grande. La divisione originale del film era in due soli episodi, poi si è dovuto girare materiale additivo per poter allugare appunto: è a tutti gli effetti un qualcosa che ha senso quasi solo a livello di marketing, per triplicare gli incassi, e perchè il pubblico è sempre più assuefatto alla serializzazione… e quindi lo si fa e basta, a prescindere dalle esigenze del racconto, perchè le major hanno bisogno di rientrare dalle loro folli follissime spese e se la fanno un bel po’ sotto in questi tempi di flop! La storia d’amore è in effetti un po’ una caduta di stile, tra l’altro Tauriel è completamente inventata per lo scopo, per attirare un po’ di pubblico maschile e femminile in più e per inserirci la love story. Purtroppo si tratta di compromessi necessari dal loro punto di vista, adattano ai tempi correnti, vanno incontro ai gusti perchè appunto sono tempi abbastanza incerti per il cinema dal megabudget. Comunque evidenzi tutti difetti esistenti nei due film, solo che mi sono piaciuti lo stesso, magari dopo aver finito il libro potrò lamentarmi anche io oppure “abbozzerò” e accetterò, chissà! Un saluto, e grazie per aver commentato

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