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Animeland: Racconti tra anime, manga e cosplay

Sceneggiatura e Regia: Francesco Chiatante

Anno: 2016

Genere: Documentario

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Sinossi

Animeland si concentra su una rivoluzione socio-culturale che non solo presenta personaggi e scenari diversi da quello che il pubblico era abituato a vedere, ma accompagna lo spettatore verso una serie di emozioni e sentimenti a tratti più cupi e malinconici. Animeland, affronta un viaggio che parte dai primi cartoni animati come Heidi, Goldrake, Jeeg Robot, Ken il guerriero e L’incantevole Creamy per arrivare fino ai più recenti Holly e Benji, Lady Oscar, Dragonball e Naruto.

Animeland è una lucida analisi dell’arrivo della cultura giapponese in Italia, un fenomeno che ha inizio dagli anni Settanta e che ha “segnato” un’intera generazione, a partire dai quarantenni di oggi e conoscendo poi fortune alterne nell’immaginario italiano.

L’autore, Francesco Chiatante, ha coraggiosamente autoprodotto un documentario che si pone molte domande e non cerca facili risposte: ci si chiede come sia possibile che sulla base di un immaginario disneyano – così edulcorato – sia riuscita ad attecchire un immaginario così differente.

Il documentario mette in scena grazie a una ottima raccolta di materiale eterogeneo e un montaggio azzeccato la nostalgia verso il periodo d’oro dell’infanzia e dell’adolescenza dove gli intervistati (autori, mangaka, attori, registi, giornalisti, cantautori, collezionisti) sono venuti a contatto con questo mondo parallelo.

Animeland è infatti una vera e propria immersione per chi non conosce questo mondo, mentre per chi lo ha conosciuto può diventare senza dubbio un richiamo alle sensazioni provate. Sensazioni che rimangono impresse poiché più adulte, più serie sul piano comunicativo ed etico in media rispetto ad altri “cartoni” e fumetti.

Per chi è interessato a vederlo: Animeland sarà presentato sabato 20 e domenica 21 maggio al Montevideo Comics, in Uruguay, il documentario autoprodotto Animeland – Racconti tra manga, anime e cosplay, opera prima diretta dal regista tarantino Francesco Chiatante. Le due proiezioni del documentario, unitamente ai sottotitoli in spagnolo sono stati resi possibili grazie all’aiuto dell’Istituto Italiano di Cultura di Montevideo. Tra le prossime tappe del documentario: negli stessi giorni, 20 e 21 maggio, quattro proiezioni al festival San Beach Comix di San Benedetto del Tronto, dove sarà presente il regista per rispondere alle domande del pubblico. Quindi la proiezione a Milano domenica 28 maggio al circolo Arci Metissage nell’ambito della rassegna ceCINEattacks.

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Francesco Chiatante nasce a Taranto nel 1981, videomaker di cortometraggi, documentari, backstage e video. Studia all’Accademia di Belle Arti di Macerata “Teoria e Tecnica della Comunicazione Visiva Multimediale” e si specializza in “Arti Visive – Scenografia”. Approda a Roma nel 2Animeland 3007 per un Master in Effetti Speciali per il cinema. Negli ultimi anni ha lavorato per post-produzioni di film e fiction, collaborato come operatore video e montatore per una serie di progetti documentaristici prodotti e diretti da Franco Zeffirelli, diretto l’episodio ’Iride’ del film indipendente a capitoli ’Amores’ (Italia, 2013) e realizzato backstage dei film diretti da Ivano De Matteo ’Gli equilibristi’ e ’I nostri ragazzi’ (vincitore del Premio Miglior Backstage 2015 – Festival del Cinema Città di Spello) e della serie TV RAI ‘Il sistema’ diretta da Carmine Elia. Animeland – Racconti tra Manga, Anime e Cosplay, del 2015, è il suo esordio nel lungometraggio. (Fonte: Cinemaitaliano.info)

 

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Speciale Premi Oscar: Moonlight

Moonlight è strutturato su tre stadi nella vita di un ragazzo cresciuto a Liberty City, quartiere degradato di Miami, considerato uno dei più pericolosi d’America.

Tre magnifici attori (Alex R. Hibbert, Ashton Sanders, Trevante Rhodes) che si plasmano magicamente in un unico personaggio, quello di Chiron, il quale si ritrova ad affrontare in maniera peculiare lo stesso mondo ma da tre prospettive diverse: quella di Little, quella di Chiron, quella di Black.

Si tratta di tre nomi/soprannomi, tre identità diverse ma sovrapponibili da dietro le quali il protagonista si rapporta con e si difende da un mondo perlopiù ostile, spesso barricandosi dietro di esse.

Chiron cambia (anche a livello attoriale appunto), e così anche il suo migliore amico e coetaneo Kevin, mentre il mondo intorno a lui sembra non cambiare mai e sussistere nella ciclicità delle esistenze di una realtà che –per quanto problematica- è estremamente ammaliante (americana ma con influenze caraibiche e cubane).

Il cambio di stile della fotografia, sempre incantevole, densa dell’uso del fleur nel primo capitolo dell’infanzia, realistica nel secon

do dell’adolescenza e puramente notturna nel terzo capitolo a metà tra il blu degli esterni e del caldo marroncino degli interni, sottolinea ulteriormente e inconsciamente nello spettatore il nuovo step evolutivo della vita del protagonista. Quasi fossero tre mini-film intimamente e indissolubilmente legati tra di loro: il primo dall’atmosfera magico-caraibica, il secondo più crudo, il terzo sofisticato quasi fossimo in una periferia newyorkese anch’essa senza tempo, alla James Grey.

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Il fatto che invece al contrario la coralità dei personaggi secondari “adulti”, seppur invecchiando non cambi – neanche a livello attoriale – non fa che suggerire il potente incantesimo d’immobilità indotto dall’atmosfera semi-tropicale di Miami nei suoi abitanti, a prescindere dalla loro estrazione sociale.

Da notare gli inserti onirici giustificati dal tema/mito di fondazione che dà il titolo al film: una vera chicca in un contesto per il resto verosimile.

Moonlight è infatti un gioiello molto classico con il quale gli autori vogliono raccontarci senza fronzoli o trucchi l’intimità di una vita “tipo” di una personalità che nasce e cresce in un contesto familiare e sociale dove un certo tipo di virilità ostentata vengono prima di ogni cosa. E Chiron è estremamente sensibile a questa tonnellata di input molto definiti che gli piombano addosso quasi da ogni angolo. Qualche voce fuori dal coro c’è, ma per sfortuna esse non riescono a mantenere autorevolezza ai suoi occhi, come la madre (la splendida ed eccellente Naomie Harris) e lo spacciatore Juan (Mahershala Ali) nel primo capitolo e l’amico Kevin nel secondo: il richiamo del diventare ciò che gli altri vogliono che tu sia pulsa di una forte intensità, che si può subire, rifiutare o seguire. In ogni caso, ognuna di queste scelte comporta un prezzo da pagare, più o meno alto, le cui conseguenze vengono subite dalla propria identità, che a tratti sembrerà una chimera sempre più irraggiungibile. Un film che sa trattare una tema universale quale quello dell’identità in maniera nitida e onesta: non solo un film che ha preso tante nomination agli Oscar, perfetto sotto il punto di vista narrativo, interpretativo e tecnico-registico, ma un’Opera con la O maiuscola di quelle che ti lasciano ancora a pensare immobile mentre scorrono i titoli di coda.

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Love & Mercy – Recensione

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Love and Mercy dipinge un ritratto non convenzionale di Brian Wilson, cantante, cantautore e leader dei Beach Boys. Con la sue canzoni a far da colonna sonora, il film esplora intimamente il travagliato percorso personale dell’artista che Paul McCartney ha definito un genio. Nascosta da un’apparente semplicità la sua musica ha segnato per sempre la storia del pop, mentre la sua mente è stata considerata per anni affetta da una forma di schizofrenia. L’incontro con la futura moglie Melinda riuscirà a portare l’equilibrio nella sua mente e nella sua vita.

Adler Entertainment porta nelle nostre sale cinematografiche un’ottima opera indie firmata dal produttore di 12 anni schiavo e Into the Wild, Bill Pohlad, il quale mette abilmente in scena un progetto biografico di lunga data sulla vita di Brian Wilson, la mente creativa dei Beach Boys. Il film immerge immediatamente nel clima dell’epoca, gli anni Sessanta, con una fotografia incredibilmente e favolosamente fedele allo stile del tempo, contrapponendo le sue tinte acide e sature a quelle più fredde e nitide degli anni Ottanta nella quale è ambientata l’altra metà del film.

La struttura di Love & Mercy è perfettamente bilanciata perché ci pone davanti a due momenti cruciali della vita di Brian Wilson: quella in cui comincia ad avere disturbi – interpretati con grande naturalezza e maestria dall’icona indie Paul Dano – e quella in cui il cantautore cerca di liberarsi da questa ingombrante parte di sé, parte di biografia messa in vita grazie alle sottigliezze recitative di John Cusack. La scelta di due attori molto diversi per aspetto e stile coincide con tutta probabilità con l’obiettivo di straniare lo spettatore nel percepire due persone diversissime, in mezzo alle quali c’è stato un percorso con lunga discesa negli abissi della mente. Si tratta di un percorso estremamente rischioso, dove l’equilibrio è minato da percezioni sfiancanti per l’animo del protagonista: pregio di Love & Mercy è infatti quello di non puntare il dito su un collegamento diretto tra genialità e follia: al contrario si tende a sottolineare che Wilson è riuscito a diventare un apprezzato genio musicale nonostante le sofferenze che gli provocavano che lo affligevano. Non si tratta di un semplice scotto da pagare in cambio della genialità, ma di una battaglia continua per riuscire a continuare a fare quello che lo faceva sentire vivo, ovvero creare la musica che mezzo mondo ha amato.

Oltre la componente drammatica, Love & Mercy è uno spettacolo per gli occhi e per le orecchie: un film in grado di metterci davanti allo spettacolo della creazione musicale,  riuscendo nell’obiettivo di emozionare e coinvolgere in profondità.

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Microbo & Gasolina: il Gondry che convince

microbe-et-gasoil-recensioneMicrobo è un ragazzino timido, che si perde spesso nei suoi disegni. Gasolina è un ragazzo brillante e pieno di inventiva, che arriva a scuola a metà dell’anno scolastico. I due diventano subito grandi amici. Si avvicinano le vacanze estive e nessuno dei due ha voglia di passarle con la propria famiglia. Con il motore di un tosaerba e qualche asse di legno, si costruiscono la loro “automobile” e partono all’avventura sulle strade della Francia…

Per il suo undicesimo lungometraggio Michel Gondry mette in scena un’opera decisamente deliziosa e adatto sia ad adolescenti che a tutti gli altri adolescenti un po’ cresciuti. L’apprezzato e fantasioso regista francese porta sullo schermo un genere che è il classico dei classici: un film di formazione sull’adolescenza e per di più on the road. I possibili riferimenti sono Alice nella città, Gli anni in tasca, Zazie nel metrò, dei quali riesce abilmente a ricreare freschezza e sincerità nel trattare un punto di vista difficile come quello dei giovanissimi protagonisti. E’ indispensabile infatti per un pubblico adulto un attimo di ristabilizzazione per immergersi nell’insofferenza nei confronti dell’autorità genitoriale, tema portante del film, sia che questa sia autoritaria sia che si tinga di tratti troppo freak e amicali. Ma non ci vorrà molto perché si tratta di sentimenti universali che vengono qui delineati in due personalità complementari come lo yin e lo yang e che nel corso del film riescono a dare – sempre con leggerezza – una risposta poetica e astuta alla mancanza dei mezzi necessari all’agognata indipendenza.

La bellezza di Microbo & Gasolina sta nella capacità di riportare il pubblico a quelle sensazioni e quel momento in cui gli adulti appaiono ridicoli e/o insensati, un’operazione metaforicamente analoga a quella adottata dai film di Charlie Brown. La fantasia visionaria di Gondry viene qui convogliata in un progetto ben strutturato che fa ridere, sorridere e anche riflettere su quanto possa essere precario e al tempo stesso molto liberatorio – tanto quanto costruirsi una folle automobile-finto-capanno – ritagliarsi il proprio angolino di felicità ad una certa età, quando ogni parte di mondo ti tira in una direzione diversa.

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Silence: il sogno avverato di un maestro del cinema

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Andrew Garfield e Liam Neeson in Silence

Da Leggere anche: L’Ultima Tentazione di Cristo

Silence è un viaggio in cui il maestro indiscusso del cinema americano Martin Scorsese ci conduce attraverso il “Cuore di Tenebra” del Giappone del XVII secolo. Del celebre libro di Conrad, da cui fu ispirato anche Francis Ford Coppola per Apocalipse Now, segue – soprattutto inizialmente – la struttura, quella della ricerca di un compagno perduto in una realtà sconosciuta, lì Kurtz (Marlon Brando), qui Padre Ferreira (Liam Neeson). Figure divenute leggendarie poiché nobili maestri inghiottiti da un mondo esotico, diventando praticamente “angeli decaduti” della cultura occidentale e cristiana.

Nell’ultimo film di Scorsese, a voler ricercare a tutti i costi il loro ex maestro Padre Ferreira sono i giovani padri gesuiti Rodrigues e Garupe, interpretati da Andrew Garfield e Adam Driver. Si tratta di un viaggio pericolosissimo visto che le autorità giapponesi stanno duramente perseguendo coloro che hanno abbracciato la fede occidentale grazie ai portoghesi nel secolo precedente: torture indicibile aspettano i “Kiristan” e i Padres che si approcciano alle isole giapponesi, quindi Rodrigues e Garupe saranno gli ultimi due missionari inviati in quella terra.

E’ risaputo che Scorsese ha sempre avuto fin da giovanissimo un rapporto particolare con la religione: a parte ovviamente L’Ultima tentazione di Cristo, meravigliosa opera fraintesa, in molti altri suoi film è spesso percepibile tensione morale ed questioni etiche molto delineate, da Taxi Driver a Toro Scatenato in primis.

Silence è un progetto di lunghissima gestazione, che trae vita dall’omonimo best-seller di Shusaku Endo, e che è stato a lungo rimandato tra diatribe legali e attori “saliti a bordo” che diventavano troppo vecchi per la parte con il passare degli anni.

Siamo di fronte senza dubbio ad una pellicola ad alto contenuto spettacolare a livello registico, scenografico (Dante Ferretti) e tecnico in generale. Anche a livello interpretativo si raggiungono picchi di intensità e sensibilità elevati, in particolare grazie alle performance inattaccabili di Adam Driver e Liam Neeson, motivo per la quale – oltre al fatto che si tratta di un film recitato in più lingue – è altamente consigliabile la visione in originale se possibile.

Silence tocca più generi. Si parte con lo storico e l’avventura per approdare ad una diversa profondità drammatica nel corso della storia, affrontando con innumerevoli domande che ognuno nella propria vita può essersi posto riguardanti la religione e la veridicità delle proprie convinzioni più radicate. Tra queste domande: fino a dove si può arrivare a negare conseguenze negative di azioni originariamente “a fin di bene”? Fino a che punto si può accettare l’assordante terrificante silenzio di Dio di fronte al dolore dell’umanità?

Scorsese sembra non voler pretendere di dare delle risposte a questi interrogativi millenari e universali, se non quella di fare affidamento sulla propria fede individuale, a prescindere dalla sua fermezza e a prescindere dalla religione e dalle religioni.

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Magic in the Moonlight: Woody il prestigiatore

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Come ogni anno, torna Woody Allen a deliziarci regalandoci un nuovo film: già cominciare la visione con il suo amato tipico “carattere tipografico” troneggiante da sempre nei titoli è un’emozione. Magic in the Moonlight in particolare è poi una graziosissima “bomboniera”, da gustarsi in tutta tranquillità in tutto il suo splendore. Siamo di fronte ad un film che sprizza gusto da tutte le parti in ogni possibile scelta. Fotografia incantevole, costumi di una fattura e bellezza rare oggigiorno, inquadrature dalla composizione così perfetta da sembrare quadri. Continua a leggere »

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Lo Sciacallo – Nightcrawler e la deviazione dell’american dream

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La solitudine notturna di Los Angeles, la disperazione esasperata dalla crisi e la deviazione del sogno superomistico americano non possono che creare incubi, se non mostri. Questo il punto focale di Nightcrawler.

Vediamo il protagonista manipolare tutte le persone intorno a lui, analogamente a come abbiamo di recente visto fare al personaggio di Walter White nella serie capolavoro Breaking Bad: la domanda ovvia è sempre quella di quale sia il limite effettivo tra ciò che viene dettato da necessità, e quindi giustificabile, e ciò che invece viene dettato dal nutrimento eccessivo di una personalità megalomane.

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Trash, avventura tra le favelas brasiliane

trashGuardando Trash non possono che venirci alla mente alcuni dei titoli brasiliani che sono già riusciti in passato a superare con la loro fama i confini nazionali – e a mostrarci con la giusta dose di realismo e crudezza la folle e ingiusta realtà delle grandi favelas – come ad esempio City of God e Tropa de Elite. Un particolare legame è da sottolineare con quest’ultimo dove Wagner Moura interpretava Roberto Nascimento, capo della polizia speciale molto contrariato dall’inaudita violenza del suo corpo militare e che nel seguito del film (Tropa de Elite 2)  ha una evoluzione ulteriore che non può che ricordarci l’icona che interpreta qui in Trash, quella del martire Josè Angelo.

Adesso unite questo contesto drammatico ai tocchi english di Steven Daldry e di Richard Curtis, i quali mettono il tutto in un’ottica in parte favolistica (come accade analogamente in The Millionaire) in particolare grazie al punto di vista dei tre ragazzi protagonisti, uno piu bravo e adorabile dell’altro: grazie a loro la favela diventa uno spunto di un’avventura leggermente imbevuta di un pensiero e un realismo magici.

La regia di Trash, soprattutto all’inizio, è velocissima, complice un montaggio estremamente serrato che restituisce la sensazione di un posto dove fermarsi e nascondersi è piu difficile che mai, praticamente impossibile se ci sono interessi che remano in senso contrario. Un film gradevole, una favola contemporanea, una piccola finestra su un mondo a noi lontano ma i cui meccanismi ingiusti e speculativi tendono a somigliare molto a certe situazioni nostrane. Del resto grandi interessi economici e benessere della popolazione raramente remano nella stessa direzione e in uno dei “brics” come il Brasile sembra quasi inevitabile si vengano a scontrare in modo per nulla soft reflussi di socialismi e neoliberismi, creando situazioni controverse, da anni oggetto del cinema brasiliano. Qui si tratta ovviamente di una coproduzione anglobrasiliana e di una situazione volutamente più edulcorata rispetto alla realtà e al cinema di casa. Il vero peccato del film è il poco spazio riservato a Rooney Mara e a Martin Sheen.

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Queen and Country: l’ultimo film di John Boorman

Queen and Country di John Boorman, recensione

Il grande cineasta inglese John Boorman torna per l’ultima volta sul grande schermo: la sua macchina da presa si ferma, come è simboleggiato in una scena del suo ultimo film, Queen and Country.

Il film, che abbiamo visto poco fa esordire alla sezione Quinzaine des Réalisateurs all’appena trascorso Festival di Cannes, è il vero e proprio seguito del famoso Hope and Glory (in Italia intitolato Anni ’40), che colpì tutti nel 1987.

Ci ritroviamo quindi nuovamente immersi nelle vicende della famiglia Rohan, che, dopo esser sfuggita ancora unita ai bombardamenti londinesi degli anni Quaranta, scruta il mondo dalle rive dell’isoletta dei Faraoni, lungo il fiume Tamigi.

La quiete è però presto interrotta dall’arrivo della lettera di reclutamento di Bill, ormai diciannovenne, il quale dovrà affrontare ben due anni di leva obbligatoria, con il rischio di dover prender parte con l’esercito inglese alla pericolosa guerra di Korea.

Queen and Country prende spunto da avvenimenti autobiografici ed è non a caso un film che ha il sapore e la consistenza dei ricordi.

Atei, tendenzialmente anarchici ed estremamente giocosi, Bill e il suo amico Percy cercano di sopravvivere alle ristrettezze – fisiche e mentali – che comporta il servizio militare e, nonostante i doveri imposti dalla nazione, cercano anche di vivere una propria vita e di inseguire, come è giusto che sia, le proprie prime esperienze amorose.

La nazione e la regina risultano loro emblemi discretamente ridicoli, della cui maestosità pomposa farsi beffe: sono fantasmi del passato che gli vengono propinati di continuo, quasi per distoglierli dai loro bisogni e desideri più giusti e naturali.

Il loro, più che un addestramento alla guerra, alla fine sarà un addestramento a riuscire a vivere il meglio possibile la vita nonostante tutte le brutture e gli ostacoli che l’epoca e i suoi costumi gli pone innanzi: personaggi esemplari di tutto ciò e che falliscono miseramente di continuo in questa impresa, al contrario dei due giovani protagonisti maschili, sono Bradley (traumatizzato dalla guerra e deformato dall’etica militare) e la giovane Ophelia, imprigionata nel personaggio della rigida nobile rimasta vittoriana nello spirito.

Queen and Country è un magnifico ritratto di un mondo che non c’è più ma che il talento di Boorman riesce a renderci estremamente vicino e familiare: neanche a dirlo, visivamente il film è un piccolo capolavoro di regia, fotografia, scenografia. La delicatezza e l’ironia con cui vengono trattate le vicende sono degne di grande gusto ma soprattutto di un grande maestro del cinema.

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Maleficent, recensione del film con Angelina Jolie

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Ecco al cinema l’ennesimo remake di fiabe, in particolar modo di fiabe già portate sul grande schermo della Disney, stavolta La Bella Addormentata nel Bosco del 1959, a sua volta ripreso dalle versioni della fiaba di Perrault e dei Grimm. Continua a leggere »

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Liebster Award 2014 Cinema

Ringrazio i tre blog, e i rispettivi bloggers, per aver nominato Cinema in Controluce e averlo inserito nella loro lista dei blog meritevoli:

– il blog collettivo Il Disoccupato Illustre

di TV e Cinema

The Cinema Company

liebster award blog cinema

Per chi non lo conoscesse, il Liebster Award è un premio che passa da blogger a blogger e cha ha lo scopo di far conoscere blog non molto conosciuti ma interessanti. Continua a leggere »

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The Zero Theorem: recensione in anteprima del film di Terry Gilliam

The Zero Theorem, recensione in anteprima, preview

In un futuro distopico non troppo lontano, Qohen Leth (Christoph Waltz), una sorta di genio matematico informatico, cerca di assolvere un difficilissimo – praticamente impossibile – progetto lavorativo assegnatogli da Management (Matt Demon), supercapo di una megacorporazione che in pratica influenza e controlla tutta la società: in ballo c’è, oltre alla sanità mentale del protagonista stesso, la comprensione del senso della vita e dell’universo. Continua a leggere »

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Mister Morgan: un grande Micheal Caine in un film agrodolce

Mister Morgan, recensione

Titolo originale Last Love, ripreso dal romanzo di F. Dorner La douceur assassine, Mister Morgan è reduce dalla selezione del Festival di Locarno 2013. Diretto dalla regista tedesca Sandra Nettelbeck, il film vanta un cast di ampio rilievo a cominciare niente di meno che dal premio Oscar (Hannah e le sue sorelle, Le regole della casa del sidro) Sir Micheal Caine, in quella che è probabilmente una delle sue più amabili e sincere interpretazioni delle ultimi anni. Co-protagonista è invece la dolce Clémence Poésy, già vista al fianco di Colin Farrell nello straniante In Bruges. Continua a leggere »

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Gigolò per caso: recensione in anteprima

Gigolò per caso, John Turturro, recensione

Gigolò per caso (titolo originale Fading Gigolò) è l’ultimo film di John Turturro da regista, in uscita nelle sale italiane questo aprile. Il film può vantare un cast che dire famoso è poco, a partire da Woody Allen in un ruolo di rilievo per la storia, a seguire con Sharon Stone, Vanessa Paradis e Sofia Vergara. Gigolò per caso è ambientato a Manhattan, come le classiche commedie alleniane, alle quali cerca in parte di strizzare l’occhio tra musiche, atmosfere e situazioni brillanti. Continua a leggere »

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Non buttiamoci giù: una commedia che fa bene all’anima

Recensione Non buttiamoci giù

Tratto dall’omonimo bestseller del londinese Nick Hornby (A Long Way Down), Non buttiamoci giù offre un quartetto estremamente affiatato di attori che valgono e che sembrano mettere molto di loro nella loro interpretazione, per donargli forza, leggerezza e universalità al tempo stesso Continua a leggere »

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Maldamore: una commedia particolare

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Due coppie un po’ stanche e “scoppiate” si rivelano un ottimo spunto comico per riflettere e divertirsi su una tematica che ossessiona gli italiani a tal punto da esser entrata a far parte – in modo sembrerebbe perenne – della nostra cultura e modo di vivere: quella dell’infedeltà di coppia, o tradimento, o volgarmente apostrofata come “corna”.

Il primo pregio evidente di Maldamore è di riuscire a mantenere un punto di vista molto diverso da quello solito, che aleggia da tempo in questo tipo di commedia, Continua a leggere »

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La Bella e la Bestia di Gans: un piccolo gioiello

Recensione La Bella e la Bestia

La Bella e la Bestia di Christophe Gans è un piccolo grande gioiello che ci fa scoprire una fiaba dalle sfumature molto diverse e significative rispetto a quella che già conosciamo con il classico Disney, cosa che potrebbe provocare non poco turbamento in alcuni ma che in realtà risulta positiva perché è una rivisitazione che va molto più a fondo in questa storia/mito riscontrabile in centinaia di versioni nella cultura europea. Continua a leggere »

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Snowpiercer: il “treno” è la vita, oppure no?

Snowpiercer, recensione

Uno dei film più attesi e apprezzati della VIII Festa Internazionale del Cinema di Roma, Snowpiercer di Joon-Ho Bong non delude assolutamente le alte aspettative, al contrario le rilancia rivelandosi una pellicola in grado di trattare – e con cognizione di causa – alcune delle più grandi questioni più controverse della società, cultura, stile di vita occidentali e non solo. Continua a leggere »

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Un’altra opera prima indipendente in sala: Una Domenica Notte

Una Domenica Notte (Albano, Andrisani) Recensione

Dopo il successo di Spaghetti Story ecco un’altra pellicola distribuita nelle sale italiane grazie a Distribuzione Indipendente, Una Domenica Notte, opera prima del giovane lucano Giuseppe Marco Albano, interpretata e sceneggiata da Antonio Andrisani, che dà un’ottima prova di sé, reggendo quasi il peso di tutto il film insieme ai vari comprimari. Continua a leggere »

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Monuments Men: provaci ancora, George

Monuments Men Clooney recensione

Monuments Men è il quinto film da regista di George Clooney, che da diversi anni non manca di farsi notare anche in questa veste per il suo stile e il suo tocco piuttosto cinico. Sembra che però questa volta non si possa dire lo stesso: Monuments Men è un film molto poco – passatemi il neologismo – “clooneyano”. Continua a leggere »

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A proposito di Davis e dei fratelli Coen: il gatto, il caso, il folk, l’odissea

Un giorno Joel mi ha detto: ‘Che ne pensi di questo? Sembra l’inizio di un film… Un cantante folk viene picchiato nel vicolo dietro il Gerde’s Folk City’. Abbiamo immaginato la scena, e poi abbiamo pensato: ‘perché qualcuno dovrebbe picchiare un cantante folk ?’ Da quel momento la questione è diventata cercare di farsi venire in mente una sceneggiatura, un film che funzionasse con quella scena e che spiegasse l’incidente”. (Ethan Coen)

Inside Llewyn Davis Approfondimento

E’ grazie a questa “confessione” riguardante la genesi di Inside Llewyn Davis (in Italia A Proposito di Davis) che molti verranno a sapere che Continua a leggere »

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12 anni schiavo di Steve McQueen: la recensione in anteprima

Recensione 12 anni schiavo di Steve McQueen

Steve McQueen aveva già dimostrato le sue doti grazie a Hunger e a Shame (film dall’ottima regia, nonostante un discreta dose di ruffianaggine morale), ma con 12 anni schiavo supera se stesso e lo fa riscrivendo uno dei capitoli più bui della storia degli Usa, se non il più buio: quello dello schiavismo negli stati del sud, visto però dalla prospettiva – inedita – di un uomo che nasce libero (nello stato di New York) e che solo in età adulta conosce l’orrore della schiavitù. Il regista ha giustamente ritenuto che un tale punto di vista e una tale storia avrebbero potuto aiutare nell’identificazione spettatoriale e nell’acquisizione della consapevolezza che la schiavitù è molto diffusa ancora oggi, in diverse forme e in molte parti del mondo. Continua a leggere »

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The Wolf of Wall Street: ritratto di un truffatore e della sua El Dorado

Recensione Wolf of Wall Street di Martin Scorsese

Uscita nelle sale italiane: 23 gennaio 2014

L’ascesa e il declino di Jordan Belfort, truffatore spregiudicato, nella capitale del guadagno Wall Street nel periodo della deregulation finanziaria degli anni Ottanta e Novanta.

The Wolf of Wall Street è il ritorno alla regia, dopo qualche anno, di Martin Scorsese, il quale mette in scena un gigantesco ritratto di Jordan Belfort, celebre truffatore di decine di migliaia di risparmiatori statunitensi, il quale è riuscito a sopravvivere e a vivere quasi indisturbato un decennio di vita lussuosissima, sfrenata, letteralmente piena di droghe e di eccessi sconfinati, oltre a a passarla praticamente quasi liscia. Continua a leggere »

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La Grande Bellezza di Sorrentino: elogio dell’eccesso

Recensione La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino

Vista la felice notizia della vincita del Golden Globe come Miglior Film Straniero, l’attesa per la candidatura all’Oscar e la riapertura da parte dei media di polemiche a non finire, è giunta finalmente l’ora anche per Cinema in Controluce, blog che è stato assente per la maggior parte del 2013, di snocciolare qualche parola a proposito dell’ultimo film di Paolo Sorrentino, La Grande Bellezza.

La Grande Bellezza Dvd e Diario del film su Amazon.it

La Grande Bellezza, lo si capisce già dal titolo, è uno di quei film magniloquenti, grandi, ambiziosi, esagerati, sfrontati, senza mezze misure, che non si preoccupa di riproporre il sapore già provato de La Dolce Vita e di Roma di Fellini, non si cura di esagerare in spettacolarità e in melanconia, ma procede sulla sua strada, noncurante delle possibili critiche che un’operazione del genere – che non si autoproclama progressista e ottimista, tutt’altro – comporterà quasi sicuro in un certo pubblico e in una certa stampa. Già solo per questo coraggio oggi noto a pochi, La Grande Bellezza andrebbe apprezzato:il suo è un voler essere a tutti i costi “cinema”, a tutti i costi spettacolo, esageratamente spettacolo, come già il grottesco incipit della sindrome di Stendhal professa. Continua a leggere »

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Il Capitale Umano di Virzì: un buon film ma basta luoghi comuni

Il Capitale Umano di Virzì, recensione

Liberamente ripreso dall’omonimo romanzo statunitense di Stephen Amidon, Il Capitale Umano di Virzì apre questa annata per quanto riguarda il cinema italiano “impegnato” e lo fa, sin dalla copertina, con una carrellata dei più bravi attori italiani in circolazione al momento, sia uomini che donne, la maggior parte dei quali non siamo soliti associare al regista in questione.

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