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Amour di Haneke: a qualcuno piace sadico

Regia: Michael Haneke

Interpreti principali: Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert

Uscita al cinema: giovedì 25 ottobre

Due anziani coniugi francesi, Georges e Anne, vivono tranquillamente la loro vita quando un oscuro male irreversibile sembra colpire l’anziana donna.
Di una perfezione stilistica che sfora nel maniacale, il regista, Michael Haneke, non risparmia mai nulla al pubblico, indugiando il più possibile su ogni particolare umiliante che malattia e decadenza senile possano comportare. La mancanza voluta e completa di ogni pathos e patetismo nei confronti di oggetti di per sé patetici sembra più condurre sulla strada della disumanità e della oggettificazione dell’altro piuttosto che sul tragico e sul sublime.

Alcuni commentatori sono anche riusciti, ingannati dal titolo, a intravedere qualcosa di dolce in questa storia, quando volutamente e ironicamente non è presente alcuna traccia. Anzi al contrario, è evidente una certa dose di voyeurismo con tendenze sadiche nell’approccio alla storia. Forse si tratta di un tentativo di esorcizzare una vecchiaia e una morte sentite tremendamente vicine da parte dell’autore settantenne.

Non dimentichiamo, infatti, che anche quando si parla di “realismo” l’autore è sempre un filtro con la sua poetica e visione di vita, in questo caso un filtro decisamente pessimista e sfiducioso nell’animo umano.

In realtà, però, nella realtà, non è deciso e determinato che ci si riduca necessariamente soli come cani in vecchiaia: se si è completamente soli probabilmente è perché si è sbagliato più di qualcosa nel passato, ma “Amour” di Haneke non è assolutamente interessato ad accennare cause, errori, etc. Ci sono solo i fatti e i fatti sono che la vecchiaia può essere solo una tragedia, a cui porre narcisisticamente fine se possibile.

La mia domanda provocatoria a questo punto è: dato che si sa che la vita per molti è quello che è, c’è davvero bisogno di film così mortiferi e spietati? E c’è bisogno pure di farli vincere a Cannes?

Intendo: esiste davvero qualcuno che non è consapevole che prima o poi dovrà invecchiare e morire?

Forse diversi “incoscienti” in materia possono anche esistere, ma “Amour”, con le sue modalità e espressioni così di nicchia, difficilmente attirerà e raggiungerà mai davvero questa tipologia di pubblico.

20 commenti su “Amour di Haneke: a qualcuno piace sadico

  1. Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

  2. “esiste davvero qualcuno che non è consapevole che prima o poi dovrà invecchiare e morire?”: il film non l’ho ancora visto ma – anche se non tutti/e invecchiamo e moriamo allo stesso modo – io penso che forse voglia farci riflettere su come possiamo diventare… e di sicuro un/a giovane non può saperlo (non avendo provato)!

    • Certo Betta, i film servono proprio a questo, a provare cose che non si sono provate, hai pienamente ragione in questo, però se il film volesse davvero comunicare veramente questo ai giovani, mancherebbe l’obiettivo perché difficilmente un giovane inconsapevole della morte lo vedrà, se non super appassionato di cinema. Te l’assicuro. I giovinotti vanno a vedere altre cose di tutt’altro genere anche perché Amour è fatto per compiacere un tipo di pubblico di tutt’altro tipo, molto colto e festivaliero. Non c’è musica, non succede praticamente niente, inquadrature strafisse. Se Haneke volesse davvero comunicare qualcosa di delicato a un pubblico giovane e vasto lo girerebbe in maniera più umana e apprezzabile da più persone, come “Quasi amici”, ad esempio. Però più che comunicare un messaggio, evidentemente per lui è più importante comunicare che è bravo e vincere i premi. Questo volevo far capire 😉

  3. Il tuo “La mia domanda provocatoria a questo punto è: dato che si sa che la vita per molti è quello che è, c’è davvero bisogno di film così mortiferi e spietati? E c’è bisogno pure di farli vincere a Cannes?” mi ricorda il commento di mio zio quando vide “La stanza del figlio”. “Ma che mi devo vedere due ore di ‘nu film di uno ca’ ci morse u figghiu?!?”. E mio zio è pure lui uno che di cinema ci capisce (anche se è un po’ arroccato sui suoi gusti), segno che non sono solo i profani a farsi queste legittime domande.

    • Ah ah, mi ha fatto ridere il commento di tuo zio! A me Moretti piace molto però La stanza del figlio lo trovo un film un po’ pretenzioso e non particolarmente coinvolgente, ce ne sono di suoi più belli, senza ombra di dubbio. Non è che non si devono fare i film drammatici, a me piacciono anche quelli, però insomma… si può anche provare a mediare un minimo e a non crogiolarsi volutamente e narcisisticamente in un dolore autocompiaciuto, si potrebbe provare a non cercare troppo la bellezza nel dolore perché credo che sia controproducente e poco educativo, anche se molto “artistico”. E soprattutto perché così i film non se li vede nessuno, a conti fatti. E lo sanno benissimo anche loro che non se li vede nessuno ma si autocompiacciono di essere di elite e quindi, di conseguenza, anche di qualità: è un cane che si morde la coda!

  4. Mi hanno molto colpito questi pensieri sul film. Anche perché, in parte, li avevo pensati anche io. Haneke ha intitolato la pellicola Amour, secondo me, non per l’amore tra i due protagonisti, ma perché qui c’è insita la sua visione d’amore per lo spettatore e per il cinema. il film cambia registro dopo l'”intrusione” nell’appartamento da parte di Isabelle Huppert, personaggio morale che rivendica il diritto dello spettatore al “vedere” ciò che sta succedendo…da lì si capovolgono i ruoli di rispetto: non più rispetto per i suoi protagonisti, che vengono cinicamente mostrati in condizioni umilianti, ma per lo spettatore. O forse neanche per lui. Lo vuole solo facilmente impietosire? Non ci è dato sapere. Io personalmente tutto questo meschino non ce l’ho visto, ma è probabile che sia dato da un bel po’ di cecità spettatoriale o semplicemente d’abbagliamento per la perfezione di tutto il resto…
    Per quanto riguarda la vittoria a Cannes: Nanni Moretti dà la palma d’oro al film convocando sul palco Trintignant e Riva: riserva che si prende il presidente di giuria per celare i suoi dubbi a riguardo e quindi conferire il merito di questa agli attori?

    Mi ha molto colpito questo post penso che ti seguirò attentamente! Un salutone!

    • Sì, è un articolo un po’ forte il mio questa volta… però, insomma, sai com’è, dopo anni mi sono resa conto che l’arte per l’arte non ha molto senso, neanche in un mondo meraviglioso come quello del cinema: ho cambiato partito insomma e trovare un regista che a settant’anni suonati va ancora dietro a questa storia dell’arte assoluta e che si prende così sul serio lo trovo almeno irritante… Anche secondo me Moretti non era completamente d’accordo e avrebbe fatto tranquillamente vincere Reality (lo dimostra il fatto che lo ha tenuto, giustamente, a lungo in cartellone al Nuovo Sacher!), ma non ha potuto in quanto Garrone è un suo ex allievo. Non dico che “Amour” sia chissà quanto meschino:è l’occhio sadico che c’è dietro, che trova piacere in questa operazione, che trovo molto meschino e anche un bel po’ triste. Credo che il piacere della vita andrebbe ricercato in altri modi che non implichino il dolore di nessuno. Tutto qui. Soprattutto a quell’età che in teoria dovresti aver capito qualcosa in più…

  5. Haneke fa sempre la sua parte e cioè quella del cinico/pessimista (basti pensare a Funny Games o al Tempo dei Lupi).Questo film non elude questa idea però l’ arricchisce con dei lati inevitabilmente dolci ma tristemente dolci.Si crea per me un unione perfetta tra il suo cinema e altro che gli era stato estraneo fino ad ora.

  6. vorrei consigliare la recensione che ho trovato qui:

    http://totanisognanti.blogspot.it/2012/11/amour-di-michael-haneke-nellinferno-dei.html
    magari la trovate illuminante!

  7. Non sono d’accordo praticamente su nulla di questa recensione del film. I gusti restano tali, certo, Haneke può non piacere, ci mancherebbe, ma frasi come: “Non c’è musica, non succede praticamente niente, inquadrature strafisse…” mi lasciano molto perplesso sulle capacità di analisi di chi scrive.
    Dispiace che non si sia colto il “pathos” di alcune sequenze, così come la dolcezza di alcuni passaggi: la prima volta che il marito aiuta la moglie ad alzarsi dalla sedia a rotelle, un gesto goffo che diventa abbraccio e poi una sorta di piccoli passi di danza… o quando lui le dice: ” ci sono molte storie che non ti ho mai raccontato”, o il sorriso di quando lei prova la nuova sedia a rotelle a motore sotto gli occhi del marito; o,ancora, l’uscita di casa finale, tenera e “normale” come se nulla fosse successo…
    Film spietato certo, ma “mortifero” mi sembra un commento superficiale.

    Io non mi permetto di dire cosa abbia capito della vita chi scrive, e tanto meno cosa abbia capito Haneke, sono convinto che lo scambio di opinioni sui film non serve a questo. Farlo senza fare i conti con lo stile e la poetica del regista, è presunzione.

    Riguardo alla recensione segnalata da Paola, mi è molto piaciuta, trovo appropriata la riflessione sulla linea di demarcazione tre “realismo e realtà”. Penso che possa rispondere anche alla domanda provocatoria di chi ha scritto questo articolo.
    Perchè dire che Haneke : “a settant’anni va ancora dietro a questa storia dell’arte assoluta” mi sembra un’affermazione ideologica, come gli attacchi al cinema di nicchia e dei festival. Critica che, se approfondita e con altre argomentazioni, condivido comunque anche io.

    Che Haneke non sia un regista da blockbuster, è scoprire l’acqua calda…
    Limitare questo film ad una cinica e pessimistica visione della vecchiaia è riduttivo.

    • Carissimo Marcello,
      credo che tu abbia frainteso la mia frase da te citata riguardo lo stile. La mia critica non è assolutamente rivolta allo stile, che trovo ineccepibile: stavo semplicemente spiegando a Betta che questo film è un discorso rivolto non ai giovani bensì quasi esclusivamente a se stesso e pochi altri e lo stile ne è un’ulteriore prova. E’ molto elitario, mentre i dati dei cinema mostrano come i giovani, purtroppo, preferiscano rivolgersi ad altro tipo di pellicole. Il pathos delle scene da te descritte è stato colto, ma, come spiegarmi: sono scene inserite appositamente per prendere una ulteriore “rincorsa” verso la spietatezza del finale. Per rendere ancora più duro, crudele, e “colpo di scena” ciò che succede dopo. Non è il vero realismo (anche se può sembrarlo a primo impatto), questa è una costruzione voluta. Studiando dal di dentro la tecnica del cinema riesco a riconoscere questo tipo di costruzioni drammaturgiche.

      SPOILER
      Il finale sembra mettere un punto interrogativo allo stesso titolo “Amour”, e ciò viene fatto volutamente da Haneke. L’eutanasia applicata con tale imprevedibilità e violenza, seppure richiesta in precedenza dalla stessa malata, è inserita in quel modo così brusco proprio per far venire dei dubbi agli spettatori riguardo alle scelte dello stesso Trintignant. Ma non nascondo di aver intravisto una certa, sottile, malizia.

      FINE SPOILER

      Per spiegarmi meglio ti incollo un estratto della recensione del film di Federico Gironi di Coming Soon:

      “Soprende un po’ che un autore tagliente e lucido (anche di fronte a film qualitativamente non riusciti) si appoggi con tanta malizia al tema e l’estetica della malattia, conscio di come sul grande schermo questo artificio garantisca di default una schiera di ammiratori.
      Non c’è nulla di nuovo, nulla di inedito, nessuna riflessione sconvolgente o insolita su un tema che il cinema ha comunque spesso, direttamente o indirettamente, esplorato. E nonostante alcune scene di quotidiana delicatezza tra marito e moglie, l’Haneke (relativamente) dolce di Amour risulta meno convincente di altri suoi film che magari non abbiamo amato ma ai quali, perlomeno, si potevano riconoscere motivi di interesse o riflessione.”

      Un saluto!

  8. Haneke va sempre al limite estremo; mette in scena uno dei significati estremi dell’amore, che sfocia nella somministrazione della morte…
    secondo me ha meritato la palma d’oro

  9. ma poi che vuol dire “non è educativo”? Io non credo nel cinema, e in generale nell’arte che si prefigge scopi “educativi”. Anzi, ne diffido proprio.
    un film come ogni opera narrativa per essere considerato riuscito, deve essere all’altezza delle proprie ambizioni, “alte” o “basse” che siano e deve raccontare personaggi ben delineati e coerenti con il tipo di storia narrata

    • Ciao Paolo, benvenuto sul blog. Anche io come te non credo nel cinema come solo mezzo di educazione, assolutamente. Adoro il cinema e non vorrei mai che fosse mezzo di propagande varie a discapito della bellezza della narrazione filmica. Però, permettimi, il cinema come strumento sadico è molto poco etico, soprattutto quando si nasconde sotto le spoglie del “capolavoro estetico”. Se non ti piace la parola diseducativo, definiamolo “malizioso” o volutamente autocompiaciuto, ma in ogni caso non trovo nessuna estetica e bellezza narrativa né nella violenza di un certo tipo di sguardo né nella malattia e degradazione fisica.

      Un saluto,
      Emerald

    • Dire che l’arte non deve essere educativa non significa asserire che nell’arte non c’è una logica. Quello che per una lezione di bon ton è l’essere moralmente edificante, per un’opera d’arte è l’essere intellettualmente stimolante. Sottoporre per due ore lo spettatore a sofferenze e cattiverie non so fino a che punto lo stimoli.

      • Ottimo commento vittorinof. E’ verissimo che film che degradano l’essere umano non dovrebbero essere, in teoria, intellettualmente stimolanti, ma evidentemente sono INCONSCIAMENTE stimolanti per intellettuali repressi e con tendenze sadiche inespresse. Trovo tutto ciò terribile. Un’altra alternativa è che la gente sublima molto già di suo e quindi tende a sublimare l’impossibile quando di mezzo c’è un jolly passpartout come l’amour…

      • mi piacerebbe capire cosa si intende con “cinema etico”, mi limito a dire che se la storia che vuoi raccontare richiede di mostrare sofferenze le devi mostrare (lo dico da appassionato di cinema di tutti i tipi compresi i film splatter che certo non hanno le ambizioni di un film di Haneke), poi come le mostrerai dipende dalle tue ambizioni e dal tipo di storia raccontata. Di Haneke vidi Funny Games (l’originale), anche quello accusato di “sadismo”..io invece lo trovai un film certamente disturbante (uno dei più disturbanti che ho visto dopo Salò di Pasolini, tanto che come per Salò non so se mi andrebbe di rivederlo) volutamente disturbante ma stimolava più di una riflessione sulla violenza, il nostro rapporto con essa, la banalità del male..un film che non lascia indifferenti

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